Si trova nell’area centro-orientale della regione. La sua morfologia è resa particolarissima dalla presenza dell’Etna, il vulcano da cui si dipana l’ampia pianura, contrastata, verso l’interno, dalle aree collinari. La superficie totale supera i 3.500 kmq, con una concentrazione urbanistica localizzata prevalentemente lungo l’area costiera e collinare e una popolazione che fa registrare sorprendentemente un saldo naturale positivo, il maggiore in tutta la regione. La provincia consta attualmente di 58 comuni ed è delimitata a nord dalla provincia di Messina, a ovest dalla provincia di Enna, a sud-ovest da quella di Caltanissetta, a sud-est da quelle di Siracusa e Ragusa e a est dal confine naturale delle sponde del Mar Ionio. La vetta principale è rappresentata dalla cima dell’Etna (3.323 m); altri rilievi, di minore importanza, sono i Nebrodi e i Peloritani a nord e gli Iblei a sud. Ai piedi del vulcano, irrorano la pianura (Piana di Catania), il Simeto, il Dittaino e il Gornalunga, suoi maggiori corsi d’acqua. A nord del massiccio dell’Etna scorre l’Alcantara, che si versa anch’esso nello Ionio. Nonostante la massiccia urbanizzazione che ha interessato gran parte della provincia a partire dagli anni Settanta del Novecento, occorre evidenziare la presenza di aree naturali protette, rappresentate in prevalenza dal Parco dell’Etna e dal Parco dei Nebrodi. Il primo si estende dalla sommità del vulcano, regno dei grandi rapaci -tra cui l’aquila reale-, alla cintura superiore dei paesi etnei, fino a pochi chilometri dal mare; il secondo -di cui solo una parte rientra nel territorio della provincia di Catania- raccoglie in varia misura essenze di latifoglie e conifere. Lo stemma della provincia regionale, inquartato, è quello concesso con Regio Decreto del 1883 e formato dai simboli di Catania, Caltagirone, Nicosia e Acireale, i cui quattro distretti allora costituivano la circoscrizione provinciale. Lo scudo è rimasto invariato anche quando, nel 1926, è stata istituita la provincia di Castrogiovanni (poi Enna), staccando da quella di Catania il distretto di Nicosia. Le insegne araldiche dei quattro quarti sono: un elefante d’oro in campo azzurro (Catania), una croce rossa su sfondo argentato (Caltagirone), una croce d’argento su sfondo rosso (Nicosia) e, in campo azzurro, un castello d’oro munito di due torri, di cui una sovrastata da un pennone rosso e l’altra da un leoncino nascente, pure d’oro (Acireale).
Per la sua particolare posizione geografica l’isola, posta al centro del Mare Mediterraneo, ha rappresentato, nel corso dei millenni, il punto d’incontro e, talora, di scontro delle principali civiltà di questo bacino. Le prime testimonianze significative relative alla Sicilia orientale si possono far risalire all’Età del Bronzo, identificabili con la civiltà di Castelluccio, sviluppatasi su vaste aree dall’Etna fino al mare, in prossimità dei corsi d’acqua, in zone collinari fertili. Il quadro etnografico che ne è scaturito è, quindi, molto complesso, risultando da una commistione di popoli arrivati in Sicilia prima dei greci, a partire dal V millennio a.C., con preponderanza certa di tre elementi: il sicano, il siculo e l’elimo. Il territorio catanese fu abitato prevalentemente dai siculi, popolazioni peninsulari, affini agli itali. Antica colonia greca (Katana), il capoluogo fu fondato dai Calcidesi nell’VIII secolo a.C.; di quella civiltà non ha conservato che scarsissimi avanzi, a causa delle numerose devastazioni subite nel corso dei secoli, che hanno interessato tutto il territorio dell’attuale provincia. Anche qui la dominazione araba ebbe inizio nel IX secolo. L’occasione fu offerta dalla fuga in Africa di Eufemio, ammiraglio della flotta bizantina in Sicilia: in quel continente il fuggitivo trovò asilo presso il terzo principe degli Aghalabiti, il quale mise a sua disposizione un’armata, con la quale egli sconfisse, a Catania, l’esercito di Costantinopoli, facendosi eleggere imperatore. Eufemio sarebbe morto, poco dopo, ucciso da due cugini da lui nominati governatori di Agrigento e Palermo. La conquista araba comportò un radicale mutamento in primo luogo nell’economia, introducendo rivoluzionari cambiamenti nel settore agricolo, oltre che negli usi e nei costumi. Anche la cultura trovò linfa vivificante, grazie alle avanzate conoscenze matematiche e scientifiche nonché all’alto livello della letteratura, di cui le popolazioni arabe furono portatrici. Ma le rivalità tra gli arabi di Sicilia e quelli d’Africa provocarono violente guerre civili, che insanguinarono l’isola nell’XI secolo. Proprio quelle discordie favorirono l’intromissione dei normanni, che intanto si erano impadroniti dell’Italia del sud: in meno di trent’anni, il normanno conte Ruggero d’Altavilla avrebbe conquistato tutta la Sicilia. Intorno al 1200 ebbe inizio il grande regno di Federico II di Svevia, con il quale l’intera isola raggiunse livelli invidiabili di prosperità, mai conseguiti fino a quell’epoca da nessun Paese europeo. Fecero seguito i regni angioino e aragonese. Con l’era dei viceré lo stato di diritto cessò di esistere anche nella provincia di Catania, per lasciare il posto al sopruso e all’ingiustizia. Forse anche per questo non ci fu mai adesione completa all’autorità spagnola dei viceré, che spesso dovette scontrarsi con l’ostilità dei ceti borghesi e, talvolta, di quelli popolari. Nel ‘600 l’azione popolare guidata da Girolamo Giuffrida fu stroncata dalla controrivoluzione aristocratica che mise fine al moto con un’azione crudele quanto macabra: la sfilata per le vie della città delle teste decapitate dei capi sommossa. Nel periodo garibaldino parte del territorio provinciale fu teatro di violenti e sanguinosi tumulti per la rivendicazione dei terreni demaniali; nel 1860 Garibaldi incaricò Bixio di sedare la sommossa e il tutto si concluse con la condanna a morte di alcuni rivoltosi. Durante l’ultima guerra mondiale, il territorio provinciale, pur senza essere realmente coinvolto dalla resistenza, dovette comunque registrare numerose vittime.